Manibus Magazine

La settima arte

di Steve della Casa 

Il Novecento ha visto un continuo incrocio tra il cinema e le varie correnti artistiche che si sono succedute negli anni. Si inizia con gli incroci tra le avanguardie storiche e i primi geni della pellicola: come dimenticare i rapporti tra Luis Bunuel e i surrealisti? come scordare la passione che il futurista Majakowski aveva per il cinema? E il cinema italiano negli anni Trenta impiega a pieno titolo il gruppo dei Sei di Torino, in particolare Paulucci che diventa uno scenografo ricercatissimo, ma anche Carlo Levi che inventò costumi e bozzetti che hanno fatto epoca nel ‘Pietro Micca’ con un grande successo commerciale. Nel dopoguerra si impegna nel cinema, sempre come scenografo, anche Italo Cremona, ma intanto l’avanguardia continua ad interessarsi della settima arte negli Stati Uniti, con l’underground di Maya Deren e di Kenneth Anger, che si inventano un modo per dimostrare al tempo stesso amore e odio per la grande macchina hollywoodiana. 

E in questo modo arriviamo agli anni Sessanta, gli anni della pop art, il periodo di crocevia tra la transmedialità e l’arte che assorbe come una spugna tutto quanto di nuovo sta accadendo nel mondo. E anche qui, il cinema diventa una sorta di koinè linguistica per i cenacoli artistici più importanti. Lo è negli Stati Uniti, dove Andy Warhol mostra grande attenzione per il cinema mentre Jonas Mekas, sulle colonne del Village Voice, praticamente inventa il cinema dei film-makers che raccontano se stessi e le loro vite. Lui stesso ospita nei suoi chilometrici film tante presenze, da John Lennon a Allen Ginsberg. Lo è in Gran Bretagna, dove anche Mick Jagger pensa a una casa produttrice per dare origine a film di sperimentazione (tra i contattati c’è anche Mario Schifano). E lo è in Italia, dove le intersezioni sono davvero tante. 

Il gruppo dell’Arte Povera, ad esempio, trova in Ugo Nespolo chi racconterà per immagini le loro sperimentazioni (basta scorrere i titoli da lui realizzati negli anni Sessanta: ‘Buongiorno Michelangelo’ dedicato a Pistoletto, ‘Neonmerzare’ con al centro Mario Mertz, ‘Boetti in bianco e nero’ su Alighiero Boetti…). E a Roma il gruppo di piazza del Popolo trova in Sandro Franchina chi si preoccupa di coniugare cinema e ricerca artistica: in ‘Morire gratis’ il protagonista è Franco Angeli, e inoltre da Jannis Kounellis a Giosetta Fioroni hanno tutti un racconto realizzato da questo regista anomalo perché completamente slegato dagli schemi tradizionali. 

Tutto questo per dire che l’arte del Novecento non può prescindere dal cinema. Il cinema l’ha raccontata, la ha vezzeggiata e amata, si è fatto testimone di quanto è successo, di quali idee e di quali visioni circolavano negli ambiti mentalmente creativi e artigianalmente fattivi.  

Torniamo agli anni Trenta, a quel periodo che tutti definiscono “i telefoni bianchi”. Uno dei più illustri storici italiani del cinema, Gian Piero Brunetta, definisce quel cinema, che tanto successo ebbe nel ventennio fascista, “la via italiana all’art déco”, facendo riferimento proprio alle scenografie usate per descrivere un mondo di borghesia alta che era il modello sociale cui si indirizzava l’italiano medio. Allo stesso modo, il cinema commerciale italiano degli anni Sessanta è completamente imbevuto di cultura visuale pop: pensiamo al thriller fantascientifico girato nel 1966 ‘La decima vittima’, con Marcello Mastroianni e Ursula Andress che vivono la loro avventura distopica in una società del futuro tutta realizzata ambientandola all’EUR e dove gli interni e le suppellettili sembrano tratti da una rivista contemporanea di pop art. ecco di nuovo il crocevia arte e artigianato. Ma l’estetica pop è davvero molto presente nel cinema anni Sessanta e Settanta, in tutto il mondo: basta pensare al ruolo che hanno i flipper, oggetti pop per eccellenza, in tutti i primi film di Wim Wenders (uno di essi si intitola ‘Same Player Shoots Again’, che come si sa è la scritta che usciva quando si vinceva una pallina extra…). 

Come diceva il compianto Bernardo Bertolucci, “Il cinema è l’arte del Novecento”, nel senso che è l’unica forma artistica che può raccontare il secolo breve e al tempo stesso è capace di contenere al suo interno tutte le discipline (nel cinema c’è la scrittura, la fotografia, la musica, l’architettura…). Il cinema, di fatto, è anche un documento visivo straordinario per quanto riguarda tutta la creatività indirizzata all’occhio dello spettatore, e spesso è anche capace di riprodurre lo spirito del tempo in cui è stato pensato. Se non ci fosse stato ‘Non toccare la donna bianca’ di Marco Ferreri, noi non avremmo più alcuna documentazione di come era l’enorme cantiere che ha completamente rivoltato il quartiere parigino di Les Halles. Se non ci fosse ‘Trevico-Torino’ di Ettore Scola, le grandi fabbriche torinesi oggi demolite sarebbero scomparse per sempre dalla memoria. E se Woody Allen non avesse immortalato il centro della sua amata New York prima delle grandi mutazioni cui è stato sottoposto, anche di quello non vi sarebbe più traccia. Ecco, basterebbe questo per sottolineare quanto il cinema sia necessario.  

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