Manibus Magazine

UN PROGETTO DI RESIDENZA PER RICERCARE L’URBILD DEL SALENTO

di Carmelo Cipriani 

Tratto originario, idea principale, forma inerente gl’inizi, l’archetipo è concetto complesso che, nei suoi molteplici significati, rinvia sempre alla genesi. Elementi trasversali alle culture, gli archetipi rimandano alla creazione originaria di componenti che la memoria via via sedimenta. Dal latino archetypus, a sua volta derivato da due parole greche, archè (inizio, principio originario) e typos (modello, marchio, esemplare), in tedesco alla più comprensibile parola Archetyp si affianca Urbild, introdotta nell’uso della ricerca speculativa da Leibniz, passata poi a Kant e, da questi, a Freud, Jung, Adler, solo per citare i maggiori. Termine caro anche a Goethe, Urbild è concetto ancora più profondo e originario di “archetipo”, è anello di congiunzione tra i concetti di pathosformel di Warburg e di “resto arcaico” di Jung. Su questo tema complesso, applicato alla memoria del Salento, hanno ricercato Gianfranco Basso (Lecce, 1978, vive e lavora a Roma) e Francesca Loprieno (Trani, 1985, vive e lavora a Parigi), artisti invitati alla prima edizione di Red Lab Artists-in-residence, progetto di residenza artistica curato da chi scrive, svoltasi lo scorso anno e i cui risultati (mostra e progetto editoriale) sono già stati presentati in più sedi e in altre, assai prestigiose, verranno presentati nei mesi futuri.

Promosso da Red Lab Gallery di Milano, il progetto Urbild, dopo la mostra svoltasi nel 2021 tra il neonato spazio leccese della galleria e la Cappella del Palazzo Ducale di San Cesario (XVI sec.), in cui i due artisti hanno presentato un’installazione multimediale eseguita a quattro mani, il progetto è poi approdato, in aprile 2022, al MIA Photo Fair di Milano. Qui è stato presentato per la prima volta il libro della residenza, complesso lavoro editoriale in cofanetto pubblicato da Red Lab Edizioni, composto dal catalogo della mostra, un poster dell’installazione di San Cesario e il diario di bordo della residenza. Quest’ultimo in particolare è nato dalla necessità di raccontare in modo puntuale il complesso lavoro di esplorazione compiuto nel periodo di residenza, in un lasso di tempo cronologicamente ristretto (undici giorni, dal 16 al 26 agosto) ma concettualmente denso per le esperienze e gli incontri compiuti. Com’è noto quella della residenza è oggi una pratica artistica assai diffusa. Benché abbia la sua più importante peculiarità nella durata, nel suo protrarsi nel tempo, di essa si tende a mostrare solo gli esiti e quasi mai i processi. Partendo da questa mancanza si è deciso quindi di raccontarla giorno per giorno, rendendo note le esperienze, le suggestioni, le riflessioni attuate in forma individuale o collettiva dal gruppo di lavoro, che oltre agli artisti ha incluso curatore, gallerista e molteplici maestranze, dalle tessitrici della Fondazione Le Costantine al maestro cartapestaio Mario Didonfrancesco, dal restauratore Marco Fiorillo alle tante ricamatrici anonime che generosamente hanno condiviso i loro lavori. Oggi, memori di questa complessa ricerca sul territorio e al fine di valorizzarla ulteriormente, ad un anno esatto di distanza, si è scelto di ritornare sui luoghi e di portare il progetto, per tutto il mese di agosto, ad Uggiano la Chiesa, piccola località del sud Salento a pochi chilometri da Otranto, dove, immersa nel verde, è collocata la Fondazione Le Costantine, resa celebre dalla sua secolare storia di emancipazione femminile ma anche dalla sua raffinata produzione tessile che tra i tanti ha coinvolto Maria Grazie Chiuri, creative director di Dior.

Obiettivo della residenza è stata la conoscenza attiva del territorio salentino, sollecitando uno sguardo critico sui paesaggi culturali – presenti e passati – attraverso l’osservazione, lo studio e la rilettura delle immagini archetipali. L’idea originaria è stata quella di porre in relazione (sinergica e mai forzata) due artisti differenti, uno che ha come mezzo privilegiato, ma non esclusivo, la fotografia (Francesca Loprieno), l’altro invece che non l’adopera o che l’adopera in modo secondario, subordinandola ad altre procedure espressive (Gianfranco Basso). In linea con le proprie ricerche ma contaminando i rispettivi mezzi espressivi, nel corso della residenza i due artisti si sono confrontati con i temi della memoria e dell’archetipo, conoscendo i luoghi ed entrando in contatto con le professionalità attive sul territorio, rintracciando così le origini della cultura salentina, tra folklore e letteratura, tradizioni manuali e miti ancestrali.

Per Francesca Loprieno la fotografia è accumulo e catalogazione, ma anche relazione tra uomo e paesaggio. Incipit della sua riflessione per Urbild, che in corso d’opera si è aperta al paesaggio, al mare in particolare, è stato il patrimonio conservato dalle donne nei bauli (quelle che nel Salento si chiamano “casce”), il famoso “corredo”, vera e propria dote per la donna, testimonianza di storia familiare, fatta di sforzi collettivi e di aspirazioni sociali. Un lavoro di accumulazione d’immagini di warburghiana memoria, attraverso cui Francesca ha proiettato nel presente un sapere antico, raccontando storie personali che hanno però carattere universale, attraverso le quali ha rintracciato à rebours le immagini primordiali, gli archetipi. Per Gianfranco Basso il ricamo è il mezzo espressivo prediletto, valido tanto sulla tela quanto nello spazio. L’artista, partendo dal cerchietto delle ricamatrici, ma anche dai tamburelli e dai setacci (denominati nel Salento “farnari”), è risalito al cerchio come forma archetipa, struttura primaria e generativa.

Un dialogo sulle origini, dunque, tra loro e con il territorio, nel quale Francesca ha rintracciato l’Urbild nella natura benigna, nel mare e nella sua ipnotica bellezza, con un ritorno metaforico alla sua città, Trani, bagnata da quello stesso mare, che ora si trova a sondare. Gianfranco, invece, salentino di nascita, lo ha ricercato nell’uomo e nei suoi saperi. Tamburelli e “farnari”, insieme a forme generatrici come quadrato e cerchio, sono stati per lui gli elementi primordiali, simboli di fiera appartenenza ad una comunità di cui lui stesso, anche se emigrato, si sente parte, e proprio per questo manipolabili a piacimento. Uomo e natura, dunque, uniti a rievocare un antico equilibrio anch’esso archetipo, disperso e oggi quanto mai necessario.

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