di Carolina Lombardini
L’artigianato affonda le sue origini in tempi antichissimi, potremmo addirittura definirlo “senza tempo”.
Artigianato e arte hanno avuto nella storia un legame sempre molto stretto come è chiaro già dalla definizione che fornisce l’Enciclopedia Treccani: “Attività, sia artistica sia comune, per la produzione di beni e servizi, organizzata prevalentemente su base individuale o familiare”. E a pensarci bene, “arte” e “artigiano” derivano dalla stessa radice latina “ars” che significa “metodo pratico o tecnica”.
L’artigianato è stato alla base dei momenti di maggior sviluppo dell’intera umanità. Fin dai tempi più antichi la capacità di modellare i materiali, più o meno “nobili”, ha consentito la realizzazione di quelle che altrimenti sarebbero potute rimanere soltanto “idee sulla carta”. Pensiamo per esempio alla navigazione e a come si sia evoluta grazie alla perizia dei mastri artigiani del legno che sono stati in grado di realizzare imbarcazioni sempre più grandi, capienti e veloci, consentendo spostamenti più rapidi e sicuri, la scoperta di nuovi territori e lo sviluppo del commercio marittimo.
Oltre al legno, la capacità di modellare a piacere e con grande maestria altri materiali quali il ferro, il vetro, l’oro e il bronzo ha consentito all’umanità di fare grandissimi salti in avanti.
Nel Medioevo esisteva la parola “artista” ma non la parola “artigiano”. Quest’ultimo era una figura di fondamentale importanza all’interno della società medievale, nonostante non esistesse l’appellativo che lo identificasse. Per questo possiamo dire che l’artigiano veniva considerato un vero e proprio artista e la sua rilevanza sociale era altissima.
Gli artigiani si riunivano in “Corporazioni delle Arti e dei Mestieri” molto organizzate e il lavoro veniva regolamentato in ogni minimo dettaglio a partire da un rigido controllo sulle materie prime e da un coerente processo lavorativo.
In epoca medievale la possibilità di avvalersi delle capacità di abili artigiani era motivo di orgoglio per un’intera città. Infatti erano molto rispettati, la loro professione era molto ambita e per questo venivano chiamati “maestri”.
Per una famiglia appartenente al ceto medio il fatto che uno dei propri figli fosse introdotto presso un maestro artigiano significava assicurargli un futuro. Entravano in bottega da bambini scegliendo in base al materiale di cui preferivano apprendere la lavorazione. Inizialmente i nuovi entrati osservavano imparando le dinamiche di lavoro della bottega. Solo in seguito apprendevano la strumentazione e i metodi di lavorazione dei materiali. A questo punto arrivava la possibilità di dimostrarsi pronti ad esercitare il mestiere. E pensate che nella bottega artigiana il maestro lavorava con un numero ristretto di sottoposti e di apprendisti che solo con il tempo venivano messi a conoscenza dei segreti del mestiere.
Nella Firenze del Quattrocento la polivalenza degli artisti era garantita anche dai percorsi formativi. Filippo Brunelleschi, Antonio Pollaiolo e Sandro Botticelli nascono all’interno di botteghe orafe.
Sempre a Firenze, agli inizi del Cinquecento, Andrea del Sarto lavora alle decorazioni che accompagnano la processione di San Giovanni e nel 1515 molte botteghe di pittori e di scultori sono coinvolte negli apparati effimeri progettati per l’ingresso in città di Leone X. Tra questi lo stesso Andrea del Sarto e Jacopo Sansovino creano un ‘rivestimento all’antica’ per la facciata del duomo.
È a partire dalla metà del XVIII sec. che l’artigianato iniziò a decadere a causa dell’aumento di richieste di una produzione di massa e alla sempre più estesa applicazione delle macchine, causata dalla prima rivoluzione industriale iniziata nel 1760.
I costi di produzione molto più bassi legati alla necessità di una produzione sempre maggiore e ‘in serie’, ha portato ad una drastica riduzione degli artigiani che, di conseguenza, si sono sempre più dovuti ritagliare un loro spazio per una produzione di maggior qualità differenziandosi da quella di quantità.
Le botteghe degli artigiani sono andate via via sparendo e l’arte del mestiere che veniva tramandata tra le generazioni da maestro ad apprendista è andata progressivamente a rischio estinzione.
Fortunatamente, nel corso del tempo, sempre più persone sono tornate ad appassionarsi al bello e sono disposte anche a spendere qualcosa in più per avere un prodotto di qualità e unico nel suo genere.
Ed ecco che la figura dell’artigiano è riuscita a trovare una sua dimensione puntando all’ esclusività del proprio lavoro rispetto alla produzione industriale.
Proprio per l’unicità del lavoro svolto e alla possibilità di adeguarlo alle esigenze di ognuno, la figura dell’artigiano è spesso fondamentale nella realizzazione del processo creativo di un artista.
La cooperazione artista-artigiano ha coinvolto, e coinvolge tuttora, artisti di fama internazionale.
Come non citare ad esempio il neonista di cui si avvale Joseph Kosuth per la realizzazione delle sue opere. Andando più indietro nel tempo, sempre con la partecipazione di esperti artigiani del neon, possiamo ricordare il “Concetto Spaziale” di Lucio Fontana, grande disegno ghirigoro esposto alla IX Triennale di Milano del 1951. E poi Alighiero Boetti già all’inizio degli anni ’70 aveva iniziato ad avvalersi del lavoro di ricamatrici di arazzi e tessitrici di tappeti afgane per dare vita alle sue opere. In questo caso l’artigianalità veniva esaltata e tutt’ora molti artisti vedono Boetti come un esempio da seguire nell’epoca di neo-artigianato in cui ci troviamo oggi. Rimanendo sempre in Italia, il maestro Luigi Ontani si serve di fotografi artigiani indiani per alcune sue opere fotografiche e della “Ceramica Gatti” di Faenza per le sue sculture a dimensione umana.
Sarebbero molti altri gli esempi da poter fare, ma già questi possono essere significativi nel rafforzare l’idea che l’artigiano abbia consentito al fruitore di arte di godere a pieno delle idee di molti nostri artisti contemporanei.
Luigi Ontani,
Ecce homo, 1970
Alighiero Boetti,
«Senza Titolo (Tra l’incudine e il martello)»,
1989 © Tornabuoni Art
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